Una recente Sentenza sul metodo Di Bella
Tra le varie forme di medicina alternativa, tra il 1997 e il 1998 fu oggetto di grande attenzione da parte dei mass media italiani il cosiddetto “Metodo Di Bella” (o “multitrattamento Di Bella”, in sigla MDB): si tratta di una terapia alternativa per la cura dei tumori, priva di riscontri scientifici circa i suoi fondamenti e la sua efficacia (24).
Le ragioni di una così grande risonanza sono da ricercare nell’attrazione che inevitabilmente comporta ogni presunta soluzione terapeutica ad un problema che per la sua estensione (in Italia le diagnosi tumorali sono più di 250.000 l’anno) e gravità (rappresentano il 30% delle cause di morte con sopravvivenza a 5 anni di circa 40%) comporta un forte carico emotivo e di sofferenza. D’altra parte l’interesse che suscitano le così dette terapie non convenzionali sembra coinvolgere sempre più persone se è vero che, come sostenuto da recenti indagini (25), più del 30% delle persone ricorre a questo tipo di trattamenti.
Il fondatore di tale metodo iniziò le ricerche sul cancro nel 1963 e quattro anni dopo intraprese la sperimentazione su alcuni pazienti. Nel 1977 introdusse la Somatostatina nella sua multiterapia per il trattamento alternativo delle masse tumorali e per la prevenzione delle metastasi.
Nonostante nel 1996 la Commissione Oncologica Nazionale avesse dichiarato tale terapia priva di validazione scientifica e nonostante con una Sentenza del 1998 la Corte Costituzionale si fosse espressa negativamente, sotto il peso del risalto mediatico (26) e dell’allarme sociale dato dalla vicenda, la sperimentazione venne autorizzata dal governo il 10.01.1998. È interessante a tale proposito citare un passo della Sentenza che la Corte Costituzionale ha emesso proprio in merito al multitrattamento Di Bella «… Nei casi in cui… esiste la possibilità di un trattamento già sperimentato e valido la pretesa che lo stato debba essere tenuto a fornire gratuitamente altre prestazioni mediche, anche solo ipoteticamente efficaci, non sarebbe ragionevole. Non possono ricadere, infatti, sul Servizio Sanitario Nazionale la conseguenze di libere scelte individuali circa il trattamento terapeutico preferito, anche perché ciò disconoscerebbe il ruolo e le responsabilità che competono allo Stato attraverso gli organi tecnico-scientifici della sanità con riguardo alla sperimentazione e alla certificazione di efficacia, e di non nocività, delle sostanze farmaceutiche e del loro impiego terapeutico a tutela della salute pubblica…» (27).
Poco tempo dopo vennero attivati gli 11 studi multicentrici di fase II (volta a valutare se un determinato trattamento è in grado di ridurre le dimensioni delle masse tumorali in un numero significativo di pazienti) su otto tipi di neoplasie. La valutazione finale fu affidataall’Italian Study Group for the Di Bella Multitherapy trial la quale concluse che le sperimentazioni non avevano prodotto alcuna prova che giustificasse ulteriori trias clinici. La sperimentazione di fase II, dunque, evidenziò come il MDB non avesse attività clinica sufficiente per giustificare ulteriori indagini, cioè la fase III.
Invero, la scelta di una sperimentazione di fase II è stata dettata da importanti motivazioni di ordine etico e pratico. Una sperimentazione di fase III avrebbe, infatti, comportato il coinvolgimento di un grande numero di pazienti. Il sottoporre per un periodo di tempo prevedibilmente lungo migliaia di pazienti ad un trattamento il cui livello di efficacia era, a priori, non noto, avrebbe violato fondamentali vincoli etici. Inoltre, la rivista Cancer scrisse che i pazienti trattati con la terapia Di Bella vivevano in media meno rispetto a quelli trattati con terapie tradizionali di riconosciuta efficacia (28) e sottolineava inoltre che tale terapia non era priva di effetti collaterali (29).
Nonostante il fallimento della sperimentazione, l’opinione pubblica si avvicinava sempre di più a questa medicina alternativa (30) e al Dott. Di Bella veniva data maggiore rilevanza in ambito giornalistico e televisivo; fino a sfociare, il 15 febbraio del 1998, in una manifestazione da parte di 15.000 sostenitori di Di Bella per ottenere la gratuità di tale terapia.
Negli anni successivi la sperimentazione subiva un nuova battuta d’arresto; infatti, nel 2003 la Camera dei Deputati approvava un atto di indirizzo per il governo ai fini di una nuova sperimentazione del metodo (31), ma nel 2005 arrivava una nuova bocciatura da parte dell’Istituto Superiore di Sanità. Ad oggi il metodo viene divulgato attraverso diversi siti internet dai figli che hanno anche istituito una fondazione (32).
Recentemente e precisamente il 26 febbraio 2012 il metodo Di Bella è tornato a far discutere, con la decisione di un Giudice della Sezione Lavoro del Tribunale di Bari, ‑ Maria Procoli ‑ che ha accolto il ricorso presentato da un malato di tumore che chiedeva di essere curato con il metodo ideato dal professore.
Con questa sentenza il Giudice ribadiva il diritto del malato a utilizzare contro il tumore il cocktail di farmaci a base di somatostatina messo a punto dal fisiologo modenese. Il Tribunale di Bari ha infatti accolto l'istanza di un paziente obbligando la «Asl a concedere l'erogazione immediata e gratuita dei farmaci del trattamento».
Tuttavia, la Sentenza a favore del metodo Di Bella ha avuto vita breve; infatti, il Direttore Generale dell'Azienda Sanitaria Locale, Domenico Colasanto, ha immediatamente firmato una delibera per procedere in appello e impugnare la decisione del giudice.
Invero, una recentissima Sentenza della Corte d’Appello del Tribunale del Lavoro di Bari, accogliendo il ricorso della Asl, ha ribaltato la Sentenza di primo grado emessa a febbraio, stabilendo che: «… L'efficacia della terapia Di Bella non è supportata da prove scientifiche e pertanto non si può obbligare il servizio sanitario nazionale ad erogarla gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta…».
Pertanto, quest’ultima Sentenza ribadisce che, nonostante la larga diffusione a livello nazionale delle pratiche di medicina alternativa, quest’ultime devono essere supportate da prove di effettiva efficacia affinché possano essere erogate da ambulatori pubblici e, di conseguenza, essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Se è vero che non si può impedire ad un malato di scegliere che tipo di cura seguire – il diritto alla salute e il bene salute sono un diritto primario e fondamentale dell’individuo – è altrettanto innegabile l’infondatezza di un diritto soggettivo a che la sanità pubblica debba prendere parte attiva nella somministrazione di terapie il cui effetto non è scientificamente riconosciuto (33).
Circa il problema della limitatezza delle risorse e dei livelli essenziali erogabili si era già espressa nel 1995 la Corte Costituzionale: «… In presenza di limitatezza delle risorse e riduzione della disponibilità finanziaria accompagnata da esigenze di risanamento del bilancio nazionale, non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo soltanto riguardo ai bisogni, quale ne sia la gravità e l’urgenza; è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la qualità ed il livello delle prestazioni sanitarie e da determinarsi previa valutazione delle priorità e compatibilità e tenuto conto, ovviamente, delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute, certamente non compromesse con le misure ora in esame…» (34). Pertanto, le ordinanze con le quali era stata concessa l’erogazione dei farmaci della terapia Di Bella avevano completamente disatteso principi pacifici in ambito giuridico-sanitario.
In conclusione il caso Di Bella è la testimonianza del disagio profondo che investe il rapporto medico-malato, colpito da una generale sfiducia nella classe medica che nasce, da un lato, dalla perdita progressiva di un dialogo diretto con il paziente e, dall’altro, dalla convinzione dell’infallibilità del progresso umano. Qualsiasi insuccesso medico viene interpretato ormai come una grave colpa del sanitario. Tale sfiducia fa da scenario all’orientamento giurisprudenziale dei pretori, dove a trattamenti sanitari comprovati ma, purtroppo, talvolta fallibili, si contrappongono pratiche di incerta efficacia terapeutica, il cui merito maggiore è costituito dall’asserito ma mai dimostrato miglioramento della qualità della vita, forse dovuto all’interruzione di una multiterapia ad alte dosi, più che all’efficacia della stessa cura Di Bella (33).
Autore di riferimento
Simona Zaami
Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medico Legali e dell’Apparato Locomotore,
Unità di Medicina Legale, “Sapienza” Università di Roma
e-mail: info@preventionandresearch.com
Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medico Legali e dell’Apparato Locomotore,
Unità di Medicina Legale, “Sapienza” Università di Roma
e-mail: info@preventionandresearch.com
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